Psicologia dello Sport


Dal 2013 opero come Psicologa presso una scuola di tennis in cui offro un servizio (sia di gruppo che individuale) di Mental Training ai giovani atleti. Il Mental training può essere considerato come un insieme di strategie attraverso cui lo sportivo impara e mette in pratica abilità psico-fisiologiche utili al suo miglioramento prestazionale.

Ogni consulenza è “costruita” su misura rispetto alle esigenze dell’atleta ed ai suoi obiettivi. Rimane imprescindibile nel mio lavoro pensare allo sportivo innanzitutto come una PERSONA, con i propri punti di forza e con potenzialità da valorizzare.

Generalmente i percorsi di consulenza prevedono di affrontare (con le dovute modifiche del caso) tematiche quali:

-Goal Setting

-Il rilassamento distensivo progressivo

-Visualizzazione

-Abilità attentive

-Il Self talk

-Motivazione e autostima

-Gestione di situazioni ansiogene

-Fattori di distrazione prima e post gara

-Le emozioni







Testimonianze dal mondo del tennis...


Nel 2013 ho assunto l’incarico come Psicologa presso l’Emidio Rossi Tennis School.

Il mio compito, in accordo con il direttore della scuola, era quello di garantire la mia presenza tanto per consulenze psicologiche individuali agli iscritti della scuola, tanto quello di organizzare incontri di gruppo rivolti ad una cerchia ristretta di atleti agonisti.

Il gruppo di tennisti era composto da 10 tra ragazzi e ragazze di età compresa tra i 12 e i 15 anni.

L’intento del direttore nonché tecnico di tutti e dieci gli sportivi, era quello di offrire ai ragazzi la possibilità di uno spazio di confronto in cui fossero i protagonisti.

Il filo conduttore di tutti gli incontri e il motivo della mia presenza nella scuola era ed è l’idea che, prima di essere tennisti, i ragazzi sono persone dotate di una propria complessità e unicità che deve essere promossa e valorizzata.

Tale punto di vista per cui i risultati e la prestazione sono importanti ma più importante è la valorizzazione dello sportivo in quanto persona, è uno dei motivi per cui sono stata e sono tutt’ora ben lieta di collaborare con questa associazione sportiva.

Parlando con i ragazzi è emerso più volte quanto per loro il tennis, pur entrati nel “mondo del campionismo” dato i risultati ottenuti, sia ancora caratterizzato in modo molto marcato dall’aspetto ludico, dal godere del gioco in sé senza la frenesia del risultato a tutti i costi (almeno da parte loro).

Interessante è stato il modo, del tutto personale, in cui ogni atleta si è accostato ai contenuti proposti.

Le differenze nelle esperienze sono state motivo di dialogo fruttuoso e ciò che è emerso essere rilevante per gli sportivi, è stato il considerare i diversi punti di vista dei propri compagni come una risorsa da valutare, per imparare ad affrontare le situazioni in campo, anche con approcci diversi dai propri qualora questi non abbiano portato i frutti sperati.

Per prima cosa si è affrontata la tematica degli obiettivi sottolineando la differenza tra quelli rivolti alla prestazione (che tendono a far valutare ogni situazione come un’opportunità per apprendere nuove abilità), e quelli incentrati sul risultato che spesso conducono l’atleta a valutarsi sulla base del confronto con l’ avversario.

Si è invitato gli atleti a dialogare con il proprio tecnico al fine di individuare obiettivi a breve termine, spiegando che si arriva alla meta finale del risultato solo non trascurando le “tappe” intermedie di sviluppo delle proprie capacità fisiche, mentali e tattiche.

In seguito ho portato i ragazzi a conoscenza della tecnica del rilassamento distensivo.

Considerando il fatto che gli incontri avvenivano a cadenza quindicinale e le premesse già sottolineate riguardo il senso del mio intervento, lo scopo di introdurre gli atleti a questa tecnica è stato principalmente quello di offrire loro un’esperienza di contatto con le proprie sensazioni somatiche.

Il risultato è stato interessante poiché l’esercizio ha reso consapevoli gli atleti di reazioni corporee e tensioni muscolari a cui fino a quel momento non avevano dato ascolto.

Il corpo manda messaggi continuamente e per uno sportivo è estremamente importante ascoltare e dare parola alle proprie reazioni fisiche.

L’attenzione ai messaggi somatici è stato un concetto rimarcato durante tutto il corso, argomenti affrontati quali il self talk, i fattori di distrazione, l’ansia e lo stress, il goal setting, le emozioni sono incompleti senza una considerazione dell’influenza reciproca tra questi tipi di esperienze e le risposte corporee.

Aiutare i ragazzi a mentalizzare e sentire il proprio soma è stato, quindi, il secondo obiettivo.

Il terzo è stato quello di rendere consapevoli gli atleti dei pensieri che possono influenzare negativamente e positivamente la loro prestazione e della possibilità di compiere, su quelli negativi, una ristrutturazione cognitiva a proprio vantaggio.

Ciò che ha colpito il gruppo è stato notare le differenze di approccio mentale alla competizione, tra partite vinte e perse.

La possibilità di mettere nero su bianco i propri pensieri prima, durante e dopo una gara dall’esito positivo e dall’esito finale negativo, è servito per fermarsi a riflettere e rendersi consapevoli della grande importanza che riveste la mente nella prestazione tennistica.

Anche in questo caso gli atleti hanno trovato molto interessante e utile sentire i diversi approcci dei propri compagni alle stesse situazioni.

Ciò che invece ho potuto notare io fin da questi primi esercizi, è il peso importante svolto dalle pressioni genitoriali sulle prestazioni dei figli.

Molti dei ragazzi infatti hanno riportato come fonte di distrazione la presenza di un genitore critico sul campo da gioco o, se non sul campo da gioco, l’interiorizzazione di questa istanza normativa fortemente caratterizzante i loro pensieri negativi.

Ho dato quindi largo spazio al dialogo sull’argomento (sentito come punto nevralgico anche dal tecnico) stimolando la riflessione dei ragazzi su come gestire le pressioni esterne.

Il concetto di ristrutturazione cognitiva è stato ripreso anche durante la discussione sulle emozioni. Esse hanno una componente fisica, comportamentale e psicologica che si influenzano e si alimentano a vicenda.

E’ stato spiegato come, in una stessa situazione, le emozioni possano variare da persona  a persona e ciò dipende dalla valutazione cognitiva fatta dal soggetto, dalle esperienze passate e dal senso di autostima ed autoefficacia di chi le prova.

L’effetto di una emozione può essere modificato imparando innanzitutto a riconoscerla e a cambiare il punto di vista da cui si osserva una data situazione.

Per questo è necessaria una valutazione più obiettiva possibile senza farsi schiacciare da pensieri negativi su di sé e sul contesto.

Emozione e concentrazione sono strettamente legati. Il fatto di dominare una emozione fa sì che questa non distragga da ciò che si sta facendo. Si ha pieno possesso delle proprie capacità e nessun fattore esterno può distogliere da quanto si sta facendo. Ciò è importante nel tennis dove fattori esterni quali, per esempio, pubblico o comportamento dell’avversario, possono creare un senso di agitazione che, se non gestito, porta lontano dal raggiungimento dell’obiettivo.

Questi concetti sono stati esemplificati anche attraverso la visione di un filmato di una partita di tennis (Chang - Lendl, Roland Garros 1989) dove un atleta, grazie alla sua capacità di gestire le proprie emozioni e sensazioni corporee, è giunto alla vittoria ribaltando una situazione di svantaggio fisico e di punteggio.

Quello che è emerso dal confronto tra i ragazzi è che, riconoscere le proprie emozioni è un “gran primo passo” perché permette di non sentirsi più vittima di queste ma di giocare alla pari con loro.

Il messaggio che ho cercato di mandare attraverso il lavoro sui pensieri distraenti e le emozioni credo sia anche quello che se una situazione è andata male in passato questo non vuol dire che andrà male anche in futuro. L’importante è analizzare ciò che non è andato in una data esperienza per usare le informazioni raccolte al fine di trovare una modalità più funzionale di agire la prossima volta ci si ritroverà nella stessa condizione.

Durante gli incontri si è affrontato anche la tematica dell’ansia e dello stress.

Ho fornito ai ragazzi informazioni sulla differenza tra stress (sottolineando come anche in questo caso, non è solamente l’ambiente che conduce a sentire stress, ma è primariamente il modo in cui vengono percepiti gli eventi) ed ansia e su quest’ultima si è dato spazio alle sue componenti cognitive e somatiche. In questo modo ho aiutato gli sportivi a comprendere il significato di alcune sensazioni corporee durante la prestazione a cui non avevano mai dato significato e, attraverso la compilazione della scheda delle situazioni ansiogene nello sport, a divenire consapevoli delle esperienze soggettive a rischio.

Nei 5 mesi trascorsi con questi ragazzi il mio intento è stato quello di dare loro spunti di riflessione e di sottolineare l’importanza di una mente elastica, disposta al cambiamento e alla discussione nonché la necessità di ascoltare i propri desideri, sensazioni, emozioni e “guardarsi dentro”.

Una mente aperta permette l’adattamento migliore all’ambiente e quindi è sinonimo di intelligenza.

Da parte mia, vedendo anche la piena partecipazione dei ragazzi, credo sia stata un’esperienza molto intensa ed arricchente che ha reso consci i giovani agonisti del ruolo decisivo dell’aspetto psicologico in uno sport individuale, che quindi richiede una grande forza interiore e consapevolezza di sé, quale è il tennis.


© 2016 Dott.ssa Alice Rossi Psicoterapeuta
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